Dopo la serrata Ssangyong rischia di chiudere i battenti

«Le possibilità che Ssangyong possa sopravvivere al momento sono veramente effimere, putroppo mancano i fondi necessari per sviluppare progetti e avviare un nuovo piano commerciale». Lascino poco spazio all’immaginazione le parole pronunciate ai microfoni dell’emittente coreano Bloomberg da un dirigente del costruttore coreano. In regime di amministrazione controllata dal mese di gennaio, il marchio ora deve fare i conti con i danni prodotti da 77 giorni di occupazione degli stabilimenti promossa dal personale operaio. Il periodo di «braccia incrociate» ha prodotto perdite per 154 milioni di euro, un macigno che potrebbe definitivamente scrivere la parola fine sull’esistenza di Ssangyong. A spingere in questa direzione sono soprattutto i numerosi creditori, dall’altra parte la Corte suprema di Seul ha dato tempo sino al 15 settembre per presentare un disegno di rilancio. All’orizzonte tutavia non si vedono segnali di speranza, l’unico segnale positivo riguarda l’onda di protesta, finalmente ricomposta. Davvero troppo poco.

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